di Federico Borra e Giorgio Turconi
La cronaca ci ha recentemente proposto un episodio nel quale una signora in dolce attesa, colta per strada dalle doglie, è salita su un autobus per recarsi in ospedale e mettere al mondo la sua bambina. La donna però era senza biglietto e uno zelante controllore, nel rispetto formale delle regole, l’ha multata e fatta scendere. Per fortuna la cosa ha avuto un lieto fine perché la bambina è nata sana. Alle proteste e alla richiesta di annullamento del verbale, l’azienda municipale ha anche risposto – come riportato da Repubblica – «Le circostanze addotte (il parto imminente) a giustifica non possono essere motivo di annullamento del verbale elevatole».
Questo fatto ripropone due temi di cultura aziendale: il focus sul cliente come valore aziendale e il principio della auto-determinazione.
La risposta conservativa data dall’azienda, che avrebbe potuto semplicemente scusarsi e compiere un gesto riparatorio, l’annullamento del verbale e magari un regalo per la bambina, dimostra come in tanti ambienti pubblici, ma spesso anche nel privato, al di là delle parole l’attenzione non sia realmente posta sul cliente, e tanto meno sulla Comunità. Da questo punto di vista il controllore è quindi quasi incolpevole perché allineato con la cultura aziendale, come traspare dal comunicato basata su un autoreferenziale rispetto di regole formali e non sull’attenzione al cliente. Quando questo avviene il personale è messo davanti agli utenti, e gli indicatori di performance interna (esempio l’efficienza) sono posti davanti a quelli del servizio ai clienti.
Il secondo tema è quello della auto-determinazione. Noi siamo fautori del concetto di standard work. Lo standard è la miglior maniera di effettuare un lavoro, codificata attraverso una procedura o almeno da una prassi, conosciuta e applicata da tutti gli interessati. La violazione di uno standard costituisce un problema, ma lo standard può essere modificato se si individua una migliore maniera di procedere. Questo non avviene in maniera arbitraria, ma nel contesto di un sistema di regole, anche a maglie molto larghe, che gestiscono il cambiamento. Tuttavia si presentano in continuazione circostanze non previste e non prevedibili nelle quali le persone sono chiamate a dover prendere delle decisioni. Le persone autodeterminate sono capaci di agire per il meglio decidendo in autonomia e assumendosene la responsabilità, e di contribuire individualmente al miglioramento del processo. Ogni persona nei propri “due metri quadri” nei quali svolge la sua attività è il comandante della nave e deve quindi saper prendere decisioni, e saper prendere le decisioni giuste. In molti casi invece questa attitudine viene sistematicamente repressa, a supporto di un’organizzazione del lavoro gerarchica oramai obsoleta nei contesti lavorativi moderni, ma che al di là delle apparenze e di quanto viene sovente dichiarato, continua ad essere il modello prevalente. E si badi bene che osserviamo questo fenomeno anche in organizzazioni che gestiscono prodotti tecnologicamente complessi.
Il caso di cronaca è scolastico in ragione della sproporzione tra le due opzioni poste sui piatti della bilancia. Chi sta al vertice di questa organizzazione dovrebbe a nostro avviso cogliere questa occasione per porsi seriamente il problema della cultura aziendale, e della attitudine alla auto-determinazione del personale. Segnali di questo tipo andrebbero benedetti come un’opportunità per aprire gli occhi, ma in realtà l’organizzazione ce ne manda di continuo di entità più piccola, tante punture di spillo che si fa finta di non sentire, ma che sono la testimonianza di un subdolo pantano organizzativo da cui non si riesce ad uscire. La via da seguire è la promozione della auto-determinazione degli individui. Non è un processo impossibile, ma in molti casi è un rovesciamento culturale, e ovviamente la cosa deve partire dall’alto ed essere perseguita con consapevole determinazione e continuità. Un’organizzazione costituita da persone autodeterminate è intrinsecamente robusta, flessibile e performante.
Il principio della auto-determinazione è alla base del Metodo Harada, definito dalla Japan Management Association come il migliorare strumento al mondo per lo sviluppo delle persone attraverso il day-to-day management. Il metodo Harada è applicato in Giappone da oltre 90.000 persone in più di 300 aziende ed è stato definito da Norman Bodek “Il lato umano del Lean Thinking.”